Senza diritto non c’è vera lotta alla mafia
Il procuratore sembra presentare le decisioni negative della Cedu come un avallo delle misure di prevenzione. Le cose non stanno così. Parliamo del ricorso Cavallotti
Gentile Dott. Tescaroli,
è sempre interessante leggere le posizioni di un magistrato così impegnato nella lotta contro le infiltrazioni mafiose, soprattutto quando queste vengono espresse su un quotidiano di rilevanza come Il Fatto Quotidiano. Tuttavia, mi permetto di osservare che, in materia di misure di prevenzione patrimoniali, sembra esserci un piccolo equivoco – mi perdoni, potremmo dire un malinteso giuridico – nelle sue recenti dichiarazioni.
Lei sembra presentare le decisioni negative della Corte Europea delle Nazioni come una sorta di avallo delle misure di prevenzione. Una lettura piuttosto ottimistica, direi! La verità è che la natura compensativa delle misure non rappresenta un lasciapassare per confiscare indiscriminatamente l’intero patrimonio di un soggetto che, a quanto pare, ha solo il ‘vizio’ di essere considerato pericoloso. Mandare in confusione la natura non penale di queste misure con un’approvazione tacita equivale a confondere una decisione di irricevibilità con una sentenza. La mia impressione è che la sua dimestichezza con il sistema della CEDU potrebbe necessitare di un piccolo ritocco.
E parlando di “cavilli” giuridici, arrivo direttamente alla causa di Cavallotti contro Italia, un caso che lei evidentemente tiene a cuore, nonostante sembri trascurarne l’essenza centrale. Questo ricorso non si basa solo su presunti dubbi di legittimità, ma su questioni ben più gravi, come la lesione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della CEDU. Qui si stanno mettendo in discussione ben altri principi: la possibilità di privare un innocente della propria proprietà sulla base di presunzioni, senza una base legale sufficiente su quel “sospetto” di appartenenza a un’associazione criminale, non è solo criticabile, è profondamente preoccupante. E che dire della gestione dei terzi? Persone estranee ai fatti che si ritrovano a subire una sorte di “ribaltamento dell’onere della prova”, perdendo così il loro diritto di proprietà senza giustificazioni adeguate! È un gioco al massacro dei diritti, dove la falce della giustizia colpisce indiscriminatamente il contadino innocente insieme al brigante.
In tutto questo, il suo approccio – che è senza dubbio animato dalle migliori intenzioni – sembra rimanere parcheggiato su una visione unilaterale, dimenticando come una vera battaglia contro la mafia debba necessariamente rispettare quei principi di civiltà giuridica che dovrebbero essere la stella polare del nostro sistema legale. La valutazione dell’adeguatezza e proporzionalità delle misure è essenziale; non possiamo accettare che la repressione antimafia diventi un pretesto per scardinare i diritti fondamentali degli individui. Dopo tutto, un’azione giuridica che ignora tali criteri si allontana pericolosamente da un concetto di giustizia che riteniamo civile.
In conclusione, Gentile Dott. Tescaroli, rifuggiamo da una società alla “Minority Report” – quel mondo inquietante in cui le colpe vengono predette prima ancora che si manifestino. Mentre continuiamo a crogiolarci nel fervore della lotta contro la mafia, non dimentichiamo mai che la giustizia e i diritti individuali devono camminare di pari passo. La mia speranza è che, con il tempo, considerazioni come queste possano trovare spazio anche nel dibattito tra chi, come lei, si impegna tanto nella causa antimafia.
*Avvocato, docente universitario di diritto penale e parte in causa nella questione Cavallotti contro Italia